Viareggio, terra del diavolo

La letteratura è piena di archetipi di città violente e malsane, da Gotham City a Sin City, dove ambienti angoscianti e spietatezza degli abitanti rendono la vita un vero incubo. Purtroppo, luoghi del genere -e anche peggiori- esistono davvero, ma probabilmente a nessuno verrebbe in mente di accostare paesaggi simili a Viareggio.

Nonostante nella sua storia non siano mancati atroci delitti e oscure leggende, oggi Viareggio pecca semmai di eccessiva tranquillità. Il panorama dalla spiaggia dà un grande senso di calma. Sarà per il contrasto tra la roccia scura de Alpi Apuane, la spiaggia chiara e il mare cupo, che si fondono in un ampio orizzonte, sarà per la brezza di mare che soffia leggera e fresca, ma ogni volta che torno mi ricarico di un grande senso di quiete.

Eppure, qualche secolo fa era un vero inferno, una “terra del diavolo” preda di malattie, della violenza dei briganti, delle incursioni dei corsari e della corruzione dei suoi stessi governatori. Non proprio la tranquilla cittadina di provincia che conosciamo oggi.

Le paludi di Massaciuccoli, un tempo assai più estese e selvagge

Intorno all’anno 1000, il tratto di spiaggia circondato da paludi malariche dove sarebbe di lì a breve sorta Viareggio, seppur abbandonato, apparteneva ufficialmente a Pisa, ma era reclamato da Lucca.

Periodicamente era scelto come luogo di approdo di pirati e corsari, che saccheggiavano i paesi dell’entroterra, come Massarosa e Montramito. Cronisti dell’epoca, come il lucchese V. Dalli, citano due sbarchi di Saraceni nell’828 e nell’848 e uno di Normanni nell’860.

Nel 1169 i lucchesi decisero finalmente di costruire una torre di legno, sostituita nel 1172 da una fortezza in pietra, il Castrum de Via Regia, evento che viene generalmente fatto coincidere con l’origine della città.

Illustrazione del Castrum de Via Regia

Da quel momento in poi seguirono quattro secoli di battaglie tra Lucchesi e Pisani per il controllo della fortezza, con esiti opposti e mai duraturi e con il coinvolgimento di vari alleati. Le cronache citano decine di battaglie presso il castello di Viareggio, alcune di lieve entità e altre ben più sanguinose. Guerre che si conclusero infine con la vittoria di Lucca, mai del tutto digerita da Pisa.

Molto lentamente, nei malsani terreni acquitrinosi intorno alla fortezza si sviluppò un piccolo borgo di miserabili pescatori e contadini, avvelenati dalle continue febbri malariche. Nel 1446 i Lucchesi, con la speranza di dare slancio al loro villaggio portuale, offrirono terreni gratuiti a chiunque avesse il coraggio di stabilirsi a Viareggio, ma trovarono ben pochi disposti a farlo.

Ferruccio Pagni (Livorno 1866 -Torre del Lago 1935)
La capanna di falasco (1900 ca.) olio su tela cm50x67, Collezione-privata

Per diversi secoli, fino alla fine del XVIII secolo, le condizioni igieniche dovevano essere tremende se si pensa che nel 1607 la stessa guarnigione del castello si ribellò per ottenere una rotazione di uomini più frequente. In un resoconto del 1619 si dice che Viareggio è composta da “case povere e umide intorno al castello e capanne sparse” e che “l’aria è infetta per il terreno paludoso e la putrefazione di animali e materiali corruttibili e la mortalità è alta”. Il 23 dicembre di quello stesso anno, arrivò una missione di frati francescani, presenza che sarà importante durante tutta la storia della città, i quali annotarono che al loro arrivo “non si trovava a Viareggio, in quel tempo, chi visitasse infermi, chi accompagnasse il Santissimo Sacramento, nemmeno chi seppellisse i morti, e pareva proprio di stare nel deserto tra animali”.

L’ambiente malsano causò numerose epidemie come quelle di tifo petecchiale del 1648, anno nel quale ebbe luogo anche una grande siccità, e quella di colera del 1763, che decimò il villaggio e per la quale fu istituita la pena di morte per chi avesse violato le norme atte a limitare i contagi.

Giacomo Puccini davanti a una capanna di falasco a Viareggio (1900)

Anche la fame era una compagna abituale di quei primi abitanti, che sperimentarono vere e proprie carestie nel 1747-48 e nel 1793 e una sommossa contro bottegai per gli aumenti dei prezzi del cibo nel 1770. In un documento della Comunità di Viareggio datato 1754, è riportato che su 800 abitanti, 100 erano malati e in stato di indigenza. In un resoconto del 1759, si afferma che su 953 abitanti ci fossero 328 disoccupati e 76 vedove e orfani, annotando che il paese era pieno di “gente della più miserabile che dir si possa“.

Ancora nel 1810 il maire, governatore della città sotto l’occupazione napoleonica, riportò che molti viareggini vivevano in tuguri o capanne di canne. Cosa che purtroppo non impietosì gli inglesi che cannoneggiarono la città tre anni più tardi, nell’ambito della guerra contro Napoleone.

Le guerre, le malattie e la fame non erano tuttavia gli unici problemi dei primi viareggini. Per secoli corsari e pirati continuarono a infestare il mare. Talvolta furono respinti, come nel 1291 quando una grande nave saracena da 56 remi fu catturata da una galea dei Genovesi -alleati dei Lucchesi- e nel 1647 quando furono fatti prigionieri alcuni corsari algerini, ma molto più spesso le loro scorrerie andarono a segno.

Torre Matilde e Palazzo del Commissario di Spiaggia

Nel 1534 il senato lucchese decretò la costruzione di una nuova torre, l’attuale Torre Matilde, perché l’antico castello si era ormai dimostrato inefficace a causa dell’espansione della spiaggia, e i pirati africani ne avevano approfittato assaltando più volte i magazzini delle merci posti presso il porto-canale di Viareggio. Nonostante l’istituzione di una ronda notturna retribuita di contadini di Stiava e Bozzano che aveva il compito di vigilare che i corsari barbareschi non risalissero dalle foci della Fossa dell’Abate e del Fosso della Guidicciona, numerose e fulminee furono le loro incursioni, in terra e in mare. Si ha memoria, ad esempio, di un allarme lanciato dal castello di Viareggio dal quale i soldati assistettero impotenti alla cattura di una nave di Portovenere da parte di pirati, nel 1547.

L’11 luglio 1565, intorno alle 4 del mattino due navi del famigerato Rais Dragut approdano alla Fossa dell’Abate, nonostante il fuoco dal castello di Viareggio. Sbarcano 90 uomini armati che si spinsero nei paesi di Massarosa, catturando 42 ostaggi.

Gli attacchi proseguirono almeno fino al 1804, anno in cui, secondo lo Zibaldone Lucchese di Jacopo Chelini, un uomo e a due donne furono sorpresi da “una squadra di corsari algerini… all’improvviso sulla spiaggia… mentre il giorno cominciava appena ad albeggiare”.

Se il mare era infestato da gente violenta e senza scrupoli, le cose non andavano meglio sulla terraferma, dominata dai briganti. Si sa che viaggiare lungo la via Regia e la via Sarzanese era a quell’epoca molto pericoloso e, nella speranza di colpire il brigantaggio, nel 1539 fu decretata la pena di morte per chi fosse stato sorpreso a rubare nei magazzini di Viareggio e un premio di 25 ducati per chi avesse ucciso un ladro.

Evidentemente questa soluzione non funzionò se nel 1633 fu istituita un’apposita Guardia delle Marine con lo scopo di porre un freno ai furti nei magazzini e al contrabbando. Nel 1701, a seguito di numerose rapine subite, fu assegnata una scorta militare al corriere che faceva la spola con il capoluogo lucchese. Nel corso del XVII secolo il brigantaggio aveva assunto dimensioni tali da essere ormai fuori controllo. In una nota del 1729 si legge che i malviventi hanno covi ben nascosti nel fitto bosco fuori dal paese. Il fatto che l’Offizio sopra la Foce, ente deputato allo sviluppo del porto e del borgo viareggino, usasse condannati ai lavori forzati per la realizzazione di nuove opere, non contribuì a tenere lontane cattive frequentazioni.

D’altra parte, da Viareggio transitavano anche le “infunate”, cioè i gruppi di prigionieri condannati all’atroce supplizio delle galere, ovvero a remare come schiavi nelle navi genovesi e più tardi veneziane, che andò avanti dal 1532 al 1801, e fu abolito solo dal governo napoleonico della città.

Nulla risolsero le richieste del 1721 e 1734 che la Comunità di Viareggio fece per poter ricorrere al “discolato”, cioè la possibilità di arrestare o espellere tutti i vagabondi anche in assenza di reati. La mancanza di sicurezza in zona proseguì a lungo, tanto che ancora nel 1831 la ghigliottina di Lucca si abbatté su Pietro Pagano, un girovago napoletano che aveva ucciso e derubato un viaggiatore nella macchia di Viareggio. Non aiutò certamente a ridurre la criminalità il fatto che nel 1814 la città fosse designata come “confino”, ovvero luogo di domicilio forzato per chi commetteva furti e reati minori.

In questo clima di povertà, violenza e degrado, dove nel 1671 fu proibito di tirare archibugiate ai pesci del canale Burlamacca, non poteva mancare la corruzione della autorità a completare il quadro.

Già nel 1608, a seguito di alcuni abusi di potere ad opera del Commissario di Spiaggia, la Repubblica di Lucca dovette nominare tre difensori civici, che tutelassero i diritti della cittadinanza viareggina. Nel 1730 il cancelliere della Comunità fu pubblicamente accusato di aver sottratto denaro. In una nota dell’epoca si legge che “…Il paese non ha governatori per bene, non c’è ordine nei decreti, non vi è legge da osservare…“.

Continue guerre e scorribande, ambiente ostile, gente pericolosa, autorità corrotte, degrado e malattie sono state per secoli la vita quotidiane degli abitanti di Viareggio.

Oggi, passeggiando tra i bei palazzi della città, tutto questo sembra incredibile. Un racconto di fantasia, che mai è accaduto nella realtà di questi luoghi. Eppure, queste sono le nostre radici, tinte di sangue e sporche di fango di palude. Conoscerle non può che far apprezzare ancora di più questo nostro fiore di città, cresciuto così faticosamente in mezzo a tanta sofferenza e tanta povertà.

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Gabriele Levantini nasce a Viareggio il 10 aprile 1985. Chimico per lavoro e scrittore per passione, dal 2017 gestisce il sito Il Giardino Sulla Spiaggia. Seguimi sul mio blog: https://ilgiardinosullaspiaggia.wordpress.com