Batoni e l’imperturbabilità di Atalanta

Doveva fare l’orafo per suo padre e invece, per fortuna, ha fatto il pittore. Pompeo Batoni, aiutato da alcuni membri di famiglie lucchesi prestigiosissime, riesce ad andare a Roma e staccarsi dai progetti meno ambiziosi e un po’ più egoisti del padre, che voleva semplicemente della manovalanza.

Oggi Batoni è conosciuto principalmente per i ritratti dei Grand Tourists, in genere inglesi che facevano il giro in Italia e d’obbligo facevano una capatina a Roma.

Al tempo i selfie non c’erano, ma questo non impediva ai viaggiatori di trovare comunque un modo per mostrare i luoghi visitati per poi vantarsi una volta tornati a casa. Ecco che arrivati a Roma ci si rivolgeva al meglio del meglio, Pompeo Batoni, che infatti oltre manica è una sorta di star, per farsi fare il miglior ritratto. Soggiornare a Roma e non andare da Batoni a farsi dipingere era come andare oggi a Pisa e non fare la foto in cui si regge la torre.

Parlare del nostro pittore lucchese solo come ritrattista però sarebbe sminuente e ingiusto. Batoni fu un grande pittore di opere a carattere religioso e mitologico e questo lo possiamo vedere benissimo nell’attuale mostra “Canova e il Neoclassicismo a Lucca”, che si tiene nei luoghi della Cavallerizza.

Entrando in prima sala infatti spiccano proprio le sue opere, un “Senatore Rezzonico” gigante, due ritratti e due pendant dedicati alla vite e alla morte. Io sono rimasta affascinata dal tema della morte espresso attraverso il mito di “Meleagro e Atalanta” per tanti motivi: i colori, il blu prima di tutto; poi la pelle bianchissima di Atalanta che risalta e si contrappone invece alla madre di Meleagro, in penombra e quasi deformata nel suo gesto di stizza.

La cosa che più mi colpisce però è l’espressione di Atalanta, ma prima vi devo raccontare la storia.

Altea, madre di Meleagro, nello stesso giorno si unisce sia con suo marito sia con il Dio Ares, dunque di chi è figlio Meleagro non lo sappiamo. Ci possiamo insospettire quando arriva il momento del parto e tre dee o le tre moire, a seconda delle versioni, appaiono alla culla di Meleagro e, come nella Bella addormentata nel bosco, gli fanno tre doni. I primi due sono discreti e riguardano la nobiltà d’animo e la gloria degli dei, la terza dea evidentemente quella mattina lì si era alzata male e dice ad Altea: <<guarda Cicci che quando quel tizzone lì si spegne, Meleagro muore>>. Altea che fa? Ovviamente prende il tizzone, ci soffia sopra e, una volta spento, lo nasconde in uno scrigno. Meleagro perciò cresce bello, forte e in salute e diventa un eroe, partecipa perfino alla spedizione degli Argonauti e torna vincitore. E qui iniziano i problemi alla Beautiful. Il padre, quello umano, in suo onore organizza una festa e invita gli dei e le dee dell’Olimpo, ma se ne scorda una, Artemide. Ma che davvero? Un affronto imperdonabile ed ecco che parte la maledizione: scatena un cinghiale ferocissimo che va a distruggere tutti i campi, che quell’anno avevano dato raccolti davvero floridi.Meleagro reagisce e mette su una squadra composta da uomini, tra cui i dodici zii, e una donna, Atalanta.I maschietti un po’ intimiditi iniziano a boicottarla, a dire che non vogliono cacciare con lei, che porta sfiga. Ma che vuol dire che una donna cacci? Insomma paure da chi ce l’ha piccolo! Meleagro infatti non li ascolta e inizia a fare coppia fissa con Atalanta. I due si innamorano. La coppia funziona talmente tanto bene che riescono anche ad uccidere il cinghiale e il ragazzo, accecato dall’amore per la ragazza decide di regalarle la pelle dell’animale.Via, tutto finito bene, no? Ma mica tanto, prima di tutto per quel povero cinghiale messo di mezzo da Artemide, lui povera bestia non c’entrava nulla, ma poi perché la pelle del cinghiale era stata promessa agli zii di Meleagro che si vendicano, rubandogliela. A sua volta Meleagro se la va a riprendere, ma si fa sfuggire un pochino la situazione di mano e li uccide tutti. Va be… è andata così, voltiamo pagina?

Non ancora perché a questo punto si arrabbia la madre di Meleagro che, per vendicarsi dell’omicidio dei suoi dodici fratelli, va a ripescare quel famoso tizzone nascosto decenni prima per gettarlo con ira nel fuoco. Meleagro muore.

È una storia di vendetta con una discreta dose di violenza, niente di troppo trucido considerato che parliamo di mitologia greca. Io, però, vi ho raccontato la storia per spiegarvi l’espressione di Atalanta che tanto mi colpisce. Nonostante questo finale tragico, troviamo una donna innamorata al capezzale del letto di Meleagro che non fa una piega. Non si scompone proprio, guarda il corpo esanime del suo amato e… e niente. Non prova un’emozione, non c’è una lacrimuccia, un singulto, nulla! Lei è semplicemente bellissima e pura e questo mi lascia sempre perplessa. Ogni volta che la vedo infatti mi verrebbe da scuoterla per le spalle con forza e dirle <<Ooooh, ma ci sei? Guarda che non hai perso una partita a carte, Meleagro è andato, morto, deceduto>>. E quando un’opera ti porta a voler interagire con lei, vuol dire che qualcuno ha fatto bene il suo lavoro.

Se volete vedere anche voi il menefreghismo di Atalanta e scoprire perché è rappresentata così, vi aspetto in mostra con le mie visite guidate.

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Giada Paolini

Guida turistica pisana in terra straniera. Laureata in lingue, letterature e studi interculturali. Appassionata di gossip storico non convenzionale.

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