Maggiano, una piccola frazione alle pendici del Monte Quiesa, l’ultima del Comune di Lucca per chi si dirige verso la Versilia, è un paese che ha segnato la storia letteraria e sanitaria della Piana di Lucca.
In cima al colle Fregionaia, siamo geograficamente sul territorio di Santa Maria a Colle, si estende ancora oggi una grande costruzione dalle pareti di un rosso-arancio, scolorito, invecchiato, che domina la vallata circostante.
Si vede bene anche dall’autostrada A12, la Bretella, che porta da Lucca a Viareggio.
Come se nell’edificio ormai fatiscente, solitario e racchiuso da una fitta vegetazione fosse deposta la testimonianza vivente del destino dei tanti malati che ha saputo accogliere negli oltre 300 anni dalla sua apertura.
La struttura di cui sto parlando è il Manicomio, lo Spedale dei pazzi, come veniva chiamato. Per quell’epiteto, ogni qualvolta un maggianello (così si chiamano gli abitanti di Maggiano) incontrava altri lucchesi, veniva additato con espressioni del tipo: “ecco che arriva un matto di Maggiano” e via dicendo. Addirittura nel film “I due carabinieri” di Carlo Verdone, in una battuta Enrico Montesano cita per l’appunto il manicomio di Maggiano, e questo fa capire quanto la struttura fosse nota in gran parte d’Italia.
Lo Spedale è uno dei più antichi d’Italia e la sua origine risale alla seconda metà del Settecento.
La fama della struttura ha raggiunto il suo apice durante l’attività del medico psichiatra e scrittore Mario Tobino, originario di Viareggio, che ha parlato a lungo della sua attività all’interno del manicomio nei suoi numerosi scritti.
Le libere donne di Magliano, Per le antiche scale, Gli ultimi giorni di Magliano, Il manicomio di Pechino, La bella degli specchi sono alcune delle opere in cui il vero protagonista è proprio lo Spedale e i suoi tanti abitanti.

Tra le sue pagine Tobino fa emergere il lato positivo e una nuova visione della malattia psichiatrica, della pazzia.
“La pazzia è davvero una malattia? Non è una delle misteriose e divine manifestazioni dell’uomo?”
Il suo linguaggio cronachistico e al tempo stesso poetico ha influenzato l’opinione pubblica e soprattutto ha favorito indirettamente alla denuncia di tutti i soprusi, delle terapie disumane, e dell’approssimazione con la quale certa medicina si avvicinava alla psichiatria del periodo. Questa denuncia poi sfociò nella legge Basaglia del 1978 decretando la chiusura di tutti i manicomi in Italia.
I suoi racconti sono pieni di storie, di vissuti e di esperienze tali da coinvolgere emotivamente il lettore e dare dignità a una malattia che nel passato era emarginata, isolata, dimenticata e rinnegata.
E la visita oggi di ciò che resta del manicomio ha qualcosa di straordinario e di magico, come se entrassimo in connessione con la malattia e la sofferenza provata dentro quelle mura. Però si respira anche l’operato e la verve del famoso medico psichiatra negli ambulatori e nel suo studio rimasto arredato per offrirsi e raccontarsi ai tanti visitatori.
Diceva Tobino delle sue pazienti: “Il manicomio è pieno di fiori, ma non si riesce a vederli”. E questa è stata la sua missione letteraria e professionale.