O mio babbino caro

O mio babbino caro
recita l’aria più nota
del Gianni Schicchi,
ma in questa città
quella parola attribuita
al proprio genitore
suona quasi
come se fosse un errore.
Ma è un idioma fiorentino,
anche se quel brano
è musicalmente divino
come il personaggio
del giullare protagonista
di questa parte del trittico
così caro al nostro autore preferito,
il Nostro Caro Maestro Puccini
che ne dedico un’altra parte
a sua sorella che preferi
prender Gesù come marito.
Come si sa, noi a Lucca
s’è sempre detto pappa’.
Almeno così m’hanno insegnato.
Non credo proprio d’esser
uscito dal seminato.
Non so se è più tipico
della citta’ o della campagna.
Ogni volta che
lo sentivo dire
mi sembrava di salire
sopra l’albero della cuccagna.
Noi lucchesi se ci definisci toscani, dici quasi una bestemmia.
Sol un di del 1849
aderimmo al Granducato,
con un plebiscito
che solo in pochi
avevan voluto
e quello non fu certo un giorno
di vendemmia.
Fieri siam sempre stati
d’esser una città stato.
Lucca da sempre fa rima
con Libertà.
Portiamo questa parola
stampata sulla nostra bandiera
con orgoglio e dignità.

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Giovanni Parensi

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