Il secolo nel quale avvenne la caduta dell’impero romano d’occidente e quello immediatamente successivo furono un periodo storico molto buio per l’Italia, caratterizzato da invasioni barbariche, saccheggi, carestie ed epidemie. Le autorità civili latitavano completamente, a causa del venire meno delle istituzioni imperiali e dei continui cambiamenti delle forze e dei popoli dominanti: nell’arco di pochi anni si susseguirono i Goti, che avevano definitivamente posto fine all’impero di Roma con la deposizione di Romolo Augustolo, i bizantini, che volevano restaurare in Italia il governo imperiale, ma sotto il dominio di Costantinopoli e infine i longobardi, che posero fine alle aspirazioni di ritrovata unità italica all’interno dell’impero romano d’oriente, occupando buona parte dell’Italia e combattendo a lungo contro i bizantini per la conquista completa della penisola. A causa dello stato di semi-anarchia che caratterizzava l’Italia in quegli anni, gli unici saldi punti di riferimento rimasti erano le istituzioni religiose e in particolare, a livello locale, i vescovi, che venivano spesso nominati dal clero o dai cittadini stessi, che li sceglievano tra le figure più carismatiche ritenute in grado di guidare una comunità all’interno di quel contesto caotico.
Quegli anni furono un periodo particolarmente difficile anche per il piccolo insediamento romano di Lucca, la cui sopravvivenza non era scontata. I problemi più gravi erano provocati dallo stato di dissesto idrogeologico del territorio nel quale la cittadina era collocata. Quello che all’epoca era un affluente dell’Arno, il fiume Auser (poi rinominato Serchio) aveva creato un diffuso terreno paludoso a poca distanza della città e i continui straripamenti del fiume provocavano allagamenti soprattutto nella parte settentrionale dell’insediamento lucchese. Tale situazione rendeva molto difficile l’agricoltura e metteva quindi a rischio il sostentamento stesso degli abitanti lucchesi. Le scarse fonti storiche di quel periodo ci narrano che furono il clero e i popolani di Lucca ad andare a cercare un monaco irlandese dalla fama di santità, che viveva come eremita presso il Monte Pisano, per nominarlo vescovo della propria diocesi. Il suo nome era Finnian, in latino Fridianus.
Frediano era nato intorno al 500 in Irlanda, a quel tempo terra di evangelizzazione. Ricevette l’educazione religiosa in un monastero della sua terra di origine, ma partì in pellegrinaggio per Roma appena fu grande abbastanza per affrontare il viaggio, molto pericoloso e pieno di insidie. Fu quando era sulla via del ritorno che decise di ritirarsi in un anfratto in una zona non conosciuta del Monte Pisano. Quando i cittadini lucchesi gli chiesero di diventare il loro vescovo, alcuni storici riferiscono che fu il Papa stesso (probabilmente Giovanni III) che, con una missiva, lo spinse ad accettare l’incarico. In seguito un altro Papa, Gregorio I, riportò del miracolo che Frediano, diventato vescovo, avrebbe realizzato. I lucchesi avevano tentato invano per anni di mettere un limite alle esondazioni continue del fiume Serchio e avevano cercato di recuperare all’agricoltura molti terreni paludosi che si trovavano immediatamente al di fuori della città. Esasperati, i cittadini chiesero l’aiuto del nuovo vescovo, che si avviò verso il fiume, scavò un piccolo solco nella terra con il rastrello, tracciando quello che sarebbe dovuto diventare il nuovo percorso del fiume e le acque fino a quel momento impetuose e indomabili, lo seguirono docilmente.
In realtà, Frediano nel suo viaggio attraverso l’Europa aveva avuto modo di affinare le sue conoscenze in molti aspetti e in particolare aveva consolidato le sue doti di ingegneria idraulica, che applicò una volta diventato vescovo di Lucca per alleviare i problemi endemici che affliggevano la città. Così, nel 575 concluse i lavori che portarono all’apertura di uno sbocco diretto al mare presso Migliarino per il fiume Serchio, che così non era più un affluente dell’Arno e ne modificò anche il percorso nella piana di Lucca, dandogli l’attuale conformazione. Forse l’allusione al rastrello nasconde uno strumento usato per tracciare il nuovo corso delle acque del Serchio. Tale opera permise di bonificare vaste zone di terreno soprattutto nella parte a nord delle mura romane di Lucca, rendendole coltivabili, e per celebrare questo risultato il vescovo vi fece costruire un monastero, in corrispondenza dell’attuale chiesa di San Frediano.
Nel corso del suo episcopato il monaco di origini irlandesi fece costruire anche numerose altre chiese e pievi, lavorò per convertire al cristianesimo i longobardi, che avevano invaso l’Italia nel 568 e fece nascere una comunità monastica che ebbe vita plurisecolare e dalla quale successivamente derivarono i “Canonici di San Frediano”, poi chiamati dal Papa Alessandro II a guidare i canonici di San Giovanni in Laterano a Roma. Morì il 18 marzo del 588 e fu tumulato all’interno della Chiesa che porta il suo nome. Proprio in virtù delle sue opere fu proclamato santo. Infatti nel martirologio romano possiamo leggere la seguente descrizione della sua vita: “A Lucca, San Frediano, vescovo, che, originario dell’Irlanda, radunò dei chierici in monastero, per il bene del popolo deviò il corso del fiume Serchio rendendo fertile il territorio e convertì alla fede cattolica i Longobardi che avevano invaso la regione”.
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