Le epidemie di peste del XIV secolo decimarono la popolazione lucchese e portarono all’estinzione la stirpe Antelminelli degli eredi di Castruccio Castracani. Fu così che si affermarono in città due importanti famiglie di banchieri e mercanti: i Guinigi e i Forteguerra. Alterne vicende videro prevalere quando gli uni e quando gli altri per circa un decennio, fino a che il 12 maggio 1392 si arrivò allo scontro armato tra le due fazioni, al termine del quale i Guinigi occuparono il palazzo dei Signori, misero in fuga il Gonfaloniere (un membro della famiglia Forteguerra) e diventarono i dominatori incontrastati della Repubblica lucchese. Il potere era gestito indirettamente e per interposta persona dal capofamiglia Lazzaro. Due anni dopo un altro Guinigi fu nominato vescovo, col nome di Nicolao I. La situazione complessiva era però ancora instabile e una congiura portò all’uccisione di Lazzaro. Gli succedette il figlio Paolo, che approfittò proprio di quella congiura e di fantomatici pericoli esterni per accentrare il potere nelle proprie mani, ancora di più di quanto accedeva col padre e dare così il via alla costruzione di una vera Signoria, come se ne stavano affermando tante in quegli anni in Italia. Nel giro di pochi anni (nel 1400) Paolo Guinigi fu nominato prima capitano e difensore del popolo e poi signore assoluto di Lucca.
Le condizioni di Lucca erano pessime, la popolazione era decimata dalla peste, le famiglie più facoltose, che si erano arricchite con i commerci, erano in fuga dalla città, per evitare le continue epidemie e i fasti militari dell’epoca di Castruccio Castracani erano ormai ricordi remoti: la Repubblica lucchese doveva lottare per la propria sopravvivenza. Il Guinigi si affermò come un politico dalla natura mite, che amava tenersi lontano da violenze e guerre, prediligeva il ricorso alla diplomazia e al patteggiamento, piuttosto che alle armi e la soppressione di ogni libertà, che perseguì, fu per lo più dovuta al timore di insidie e pericoli a una sua esistenza serena. Questo atteggiamento pacifico fu importante per la rinascita economica di Lucca, aspetto al quale egli dedicò prioritariamente le attività del proprio Governo. Prese provvedimenti a favore dell’agricoltura, prevedendo larghi sgravi fiscali, e dell’industria della seta, che fu difesa come principale ricchezza dei mercanti lucchesi, varò una revisione del catasto e cercò di ripopolare il territorio dello Stato, incentivando il ritorno e la pacificazione di esuli, fuoriusciti e banditi, non infierendo mai contro i nemici interni e concedendo largamente la cittadinanza lucchese agli stranieri che avevano nella città un qualche interesse.
Dal punto di vista della politica estera Guinigi si mosse sempre con grande ambiguità, mantenendo aperte le relazioni con praticamente tutti gli attori politici e militari che operavano nell’Italia del ‘400. La sua più grande preoccupazione era la sempre più incontrastata egemonia di Firenze all’interno della Toscana e dell’Italia Centrale, ma non vi si oppose mai apertamente facendo ricorso alle armi. Anzi, l’unica volta che lo fece, questa scelta lo portò alla caduta definitiva. Lo scontro con Firenze crebbe soprattutto a seguito della caduta di Pisa, che Paolo cercò in ogni modo di evitare, seguendo la strada diplomatica e appoggiandosi allo Stato della Chiesa e al Papa, che però non si dimostrarono validi alleati. A sua volta, Guinigi non si dimostrò un valido alleato del Papa romano in occasione dello scisma di occidente. Infatti, il Signore di Lucca non si schierò mai apertamente col Papa romano, nonostante la vicinanza territoriale e l’esonero dal pagamento del contributo per la revoca della scomunica papale sulla città, risalente al tempo di Castruccio, che era stato concesso da Papa Bonifacio IX. Appena Paolo prendeva una decisione o un provvedimento che sembrava indicare una sua presa di posizione definitiva a favore del Papa di Roma, nel giro di poco tempo ne prendeva anche uno di segno opposto a favore del Papa di Avignone, seguendo la politica dei piedi su più staffe, che lo caratterizzò in tutti gli anni del suo Governo.

Per limitare l’espansionismo fiorentino e rafforzare la legittimità del suo dominio sulle terre lucchesi, si fece dapprima nominare vicario imperiale di Lucca (scelta pagata a peso d’oro), poi si alleò con i Visconti milanesi, garantendosi la loro protezione e, a seguito della morte di Gian Galeazzo, si rivolse al re di Napoli, ottenendo da quest’ultimo le medesime garanzie. Lucca sembrava così politicamente e militarmente intoccabile. La città prosperava economicamente, grazie all’amministrazione da saggio pater familias del Guinigi, che ne aveva ristorato le finanze e aveva favorito lo sviluppo dell’industria e delle arti e l’incremento della produzione agricola. Nel 1414 però, a seguito dell’invasione francese, perpetrata dagli Angiò, e con la morte di re Ladislao, venne meno la protezione del regno di Napoli.
Il Guinigi dovette così trovarsi un nuovo potente alleato, che cercò nella Milano della rinascente signoria Visconti e in particolare nella figura di Filippo Maria. L’attivismo politico e militare di quest’ultimo però spinse i vari statarelli italiani, spaventati dalla potenza milanese, ad allearsi contro di essa, per limitarla. L’alleanza anti-viscontea era capeggiata da Venezia, con cui anche Lucca aveva ottimo rapporti, in virtù della grande presenza di commercianti lucchesi nella laguna, che era valsa a Guinigi la nomina a senatore della Repubblica veneziana. Il signore di Lucca così si trovò di nuovo nella posizione di non potersi schierare apertamente con nessuna delle due forze in campo. Dallo scontro tra Milano e Venezia, il Visconti uscì fortemente ridimensionato nelle sue ambizioni e dovette accettare un trattato (la pace di Ferrara, 1428) che ne limitava fortemente la sfera di influenza. Quello stesso trattato faceva divieto a Milano di intervenire in questioni riguardanti l’Italia centrale e di fatto poneva l’intera Toscana nell’area d’influenza di Firenze. Così Guinigi si trovava con la minaccia fiorentina sempre più forte alle sue porte e con un alleato che non poteva aiutarlo e anzi covava dei forti risentimenti nei suoi confronti, perché lo considerava un traditore e un codardo che si era rifiutato di aiutarlo nella guerra con Venezia.
Firenze approfittò della situazione favorevole creatasi e mosse apertamente le sue truppe contro Lucca nel novembre 1429. La differenza delle forze in campo permise all’esercito fiorentino di dilagare nel contado lucchese, ma le piazzeforti del territorio di Lucca erano ben difese e attrezzate per resistere. Tanto che, pur a fronte di un lungo assedio, le forze fiorentine non riuscivano ad avere la meglio. Nel frattempo Guinigi inviò i suoi diplomatici alla corte di Filippo Maria Visconti, per convincerlo a violare la pace di Ferrara e intervenire in difesa di Lucca contro Firenze. Dopo molti tentennamenti, nel luglio 1430, il signore di Milano accettò e mandò a Lucca il suo più grande condottiero, Francesco Sforza, con al seguito un numeroso esercito. Le truppe milanesi ruppero agevolmente l’assedio di Lucca ed ebbero la meglio sui fiorentini, che, estenuati dai lunghi mesi di battaglia, si dispersero in parte verso Ripafratta e in parte verso Pescia.

Lo Sforza, unito alle forze di Paolo, incalzò vittoriosamente l’esercito nemico fino alla Valdinievole. Ad un tratto però, ripiegò con l’intero suo esercito e si accampò nei pressi di Monte San Quirico. Nei giorni successivi in città scoppiò una congiura nobiliare organizzata proprio dallo Sforza, che disarmò l’esercito lucchese al suo seguito e dichiarò Paolo Guinigi suo prigioniero. Anche il popolo lucchese si sollevò al grido di libertà e di rivalsa contro il proprio signore, che, secondo voci messe in giro ad arte dallo stesso Sforza e dai nobili congiurati, prima del soccorso milanese stava segretamente tramando con i fiorentini la cessione della libertà di Lucca in cambio di una grossa somma di denaro. Guinigi a quel punto non tentò nemmeno di resistere, una volta ottenuta la garanzia di aver salva la vita sua e dei suoi figli, aprì le porte della cittadella ai congiurati e si consegnò allo Sforza, che, insieme a due figli, lo portò dal Visconti. Quest’ultimo lo fece rinchiudere nel carcere di Pavia, dove rimase fino alla sua morte. Non è dato sapersi con certezza chi abbia ordito la trama di questo complotto, ma probabilmente furono gli stessi diplomatici lucchesi inviati da Guinigi alla corte del Visconti a barattare la libertà della propria città con quella del proprio signore.
Paolo Guinigi con i suoi oltre trent’anni di Governo è senza dubbio stato il più grande signore di Lucca ed a lui vanno i meriti di aver risollevato l’economia e i commerci lucchesi, mettendo in atto delle politiche che erano in continuità con quelle realizzate dal Consiglio degli Anziani negli ultimi anni di libertà repubblicana e conservando a lungo una pace che ha permesso la rinascita della città e la ripopolazione del territorio, a seguito delle guerre di Castruccio e delle molteplici epidemie di peste successive. Anche la principale accusa che viene mossa contro Guinigi, ovvero la sua ambiguità e le notevoli giravolte diplomatiche, che alla fine ne hanno provocato la caduta, è da rivedere. Infatti, sempre in linea con la strategia seguita dal Consiglio degli Anziani prima di lui, tale politica volta sempre ad evitare lo scontro, a giungere a compromessi e a conservare buoni rapporti un po’ con tutti i “vicini” ha permesso a Lucca di conservare la propria indipendenza per altri quattro secoli, fino ai primi albori del processo che avrebbe portato poi all’Unità d’Italia.
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