La crudele tradizione delle “tele” nel Massaciuccoli

Il Lago e le paludi di Massaciuccoli rappresentano oggi una delle più importanti aree umide d’Italia, scrigno di fragile biodiversità e di incantevoli paesaggi. Inoltre, quest’area popolata fin dalla preistoria, rappresenta anche le più profonde radici storiche di Viareggio. Infatti, è proprio su queste paludi che, nel Medioevo, Lucca volle costruire il castello che sarebbe poi diventato Viareggio. E da questi canali la città avrebbe poi tratto la sua fortuna, sviluppando la sua celebre marineria e la sua industria.

Eppure, fino a tempi recenti, le acque di questo specchio d’acqua, così importante per la nostra città, sono state funestate dall’attività umana che, come troppo spesso succede, divenne insostenibile nell’arco di poche generazioni. Infatti, come in tutte le cose, è la dose a fare il veleno. Ci fu un tempo in cui gli esseri umani, forse perché meno numerosi e meno equipaggiati, o forse perché meno avari, praticavano le loro attività in modo sostenibile, dando il tempo alla natura di rimarginare le proprie ferite.

Bonifiche, estrazione di torba e di sabbia, sversamenti, caccia e pesca intensive hanno provocato gli immensi danni ai quali oggi stiamo faticosamente tentando di rimediare.

La caccia e la pesca nel Massaciuccoli furono una fonte sostentamento fondamentale per le popolazioni locali per secoli, lasciando tracce non solo nella memoria collettiva, ma anche nel paesaggio, come le iconiche bilance da pesca.

Tra il XIX e il XX secolo, all’epoca in cui la caccia passò da essere un’attività di sostentamento a un semplice svago, non era inusuale che i signori avessero una casa di campagna adibita a questo. Le sponde del Massaciuccoli ne contavano parecchie, ma sicuramente la più celebre è quella del maestro Giacomo Puccini. Cacciatore provetto, fece edificare una villa a pochi metri dalle placide acque del Massaciuccoli, facendone la sua residenza per lunghi anni.

La caccia veniva praticata in quest’area con in vari modi: con appostamenti fissi, tramite barchini, con il cacciatore appostato in una botte galleggiante ad attendere le prede, ma il metodo più celebre era sicuramente quello della “tela”.

Pellegrino Artusi sul suo libro La scienza in cucina e l’arte di mangiare bene come nota alla ricetta della “folaga in umido”, piatto tradizionale della cucina viareggina, riporta:

«Fuori del tempo della cova le folaghe stanno unite in branchi numerosissimi, il che dà luogo a cacce divertenti e micidiali. È assai cognita quella con barchetti, chiamata la “tela”, nelle vicinanze di Pisa sul lago di Massaciuccoli, di proprietà del marchese Ginori-Lisci, che ha luogo diverse volte nell’autunno inoltrato e nell’inverno. Nella caccia del novembre 1903, alla quale presero parte con cento barche cacciatori di ogni parte d’Italia, furono abbattute circa seimila folaghe; così riferirono i giornali»

La tela costituiva al tempo stesso una radicata tradizione locale, un sanguinario rito collettivo, e una ghiotta occasione di reddito per Torre del Lago. Non solo direttamente dal commercio delle prede, ma anche per l’arrivo in paese di benestanti cacciatori che dovevano soggiornare, mangiare, affittare un barchino e impiegare un barcaiolo.

L’ambita preda era la folaga, uccello acquatico abile nel nuoto e goffo nel volo che, un tempo comunissimo su questo lago, giungeva in autunno dal Nord Europa.

A ottobre o novembre in uno o più giorni dedicati, a seconda dell’entità del “mastione”, ossia del branco, presente, veniva organizzata la crudele caccia. Quando il numero di esemplari presenti era ritenuto sufficiente, veniva scelto il giorno della “tela” che veniva ampiamente pubblicizzato.

Per partecipare, era necessario pagare un biglietto ai marchesi Ginori-Lisci, all’epoca proprietari del lago, e più tardi al Consorzio che nelle prese il posto.

La mattina prescelta un gran numero di cacciatori, sia locali che provenienti da ogni dove, si raggruppavano in quattro punti del lago, distribuiti su barchini da due persone disposti a ventaglio: Porto, Barra, Piaggetta e Torre del Lago. Le guardie del lago e i carabinieri controllavano che i partecipanti avessero i biglietti in bella vista sui cappelli e che nessuno partisse prima dell’orario stabilito. Tutti aspettavano che, alle dieci in punto, il colpo di cannone segnasse l’inizio della caccia.

I cacciatori cominciavano allora a spingere le povere folaghe, che ignare pascolavano il marobbio, stringendole verso il centro del lago. Tutti cercavano di accaparrarsi i migliori vogatori perché coloro che arrivavano per primi avevano l’opportunità di sparare anche alle “porche degli uccelli” ovvero folaghe che, ancora in acqua, scappavano formando file ravvicinate.

Una volta accerchiati, i poveri animali non avevano altra scelta che la “levata”, ovvero spiccare faticosamente il volo. Allora una nuvola di uccelli copriva improvvisamente il cielo e i cacciatori aprivano il fuoco. Il boato dei colpi sparati tutti insieme si sentiva fino a Metato. I piombini che cadevano in acqua davano l’impressione di una pioggia battente. Lo spettacolo era tanto grandioso quanto tremendo.

Gran parte degli animali non avevano scampo. I pochi che riuscivano a fuggire dovevano comunque superare la linea di fuoco dei cacciatori appostati sulle sponde o tra le “paglie”. E infine, i ragazzi che aspettavano, sparsi nei campi fino alle colline, qualche folaga esausta o ferita per partecipare, anche loro, al bottino.

Infine, dopo aver raccolto le prede dall’acqua, i cacciatori si attardavano ad attendere il rientro delle folaghe superstiti che tentavano di riconquistare il lago.

A quel punto, un altro scoppio di cannone segnava la fine della caccia, a cui seguiva una grande festa.

Tutti mangiavano, commentavano la tela appena conclusa e facevano progetti per la prossima. Poi, nel primo pomeriggio, riprendevano la via di casa addobbati con le piume neri dei poveri uccelli, i quali giacevano infilati in un fildiferro fatto passare nelle narici.

L’ultima tela ebbe luogo nel 1957, e si stima che furono uccise circa 5.000 folaghe, mentre negli anni precedenti la quantità si aggirava sulle 25.000-30.000

I cambiamenti climatici, l’inquinamento, la distruzione degli habitat e la caccia eccessiva stavano portando rapidamente al declino di questo pacifico animale.

La violenza umana non si riversava solo sui poveri volatili, in quanto spesso le tele provocavano anche feriti, sia per le frequenti liti per il possesso delle prede, che cadevano in acqua tutte insieme, sia per qualche colpo sfuggito.

Credo che oggi abbiamo il dovere di preservare la memoria delle nostre tradizioni, ma anche di imparare da esse, per non commettere gli stessi errori. Oggi il Lago di Massaciuccoli, è inserito in un parco naturale, e sta vivendo un periodo di riscoperta e valorizzazione, eppure in alcune aree è ancora possibile cacciare. Sebbene la moderna attività venatoria, altamente regolamentata, non sia più quelli delle tele, credo che dovremmo solo dare modo alla natura di cicatrizzare le ferite che gli abbiamo causato. E che dovremmo imparare a godere di questo lago così unico e fragile in modo diverso e più sostenibile.

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Gabriele Levantini nasce a Viareggio il 10 aprile 1985. Chimico per lavoro e scrittore per passione, dal 2017 gestisce il sito Il Giardino Sulla Spiaggia. Seguimi sul mio blog: https://ilgiardinosullaspiaggia.wordpress.com

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