Ci sono città nel mondo che sono famose per le ardite architetture contemporanee: creature di cemento e vetro figlie di firme famose che, con vanità e un pizzico d’arroganza, lasciano il turista e il passante a bocca aperta. Viareggio, sicuramente non è tra queste.
La cittadina balneare è casomai famosa per le delicate architetture di inizio Novecento, per le aeree facciate liberty, per le casine viareggine. Purtroppo, un’insana idea di progresso, le devastazioni della guerra e il vergognoso sacco edilizio della ricostruzione hanno causato vistose cicatrici nel tessuto urbano, come -e forse più- che in molte altre località italiane. Altrove si sta tentando di porre rimedio e rimodulare i vasti spazi anonimi di condomini più o meno fatiscenti e capannoni semiabbandonati con costruzioni nuove e creative.
A Viareggio purtroppo questo processo non è ancora iniziato, eppure, almeno un’eccezione c’è. Sconosciuto ai più -viareggini compresi- nel quartiere periferico del Varignano si nasconde un tesoro d’architettura: la Chiesa della Resurrezione di Nostro Signore.
Antica area industriale della città, percorso dalle vie d’acqua dalle quali nacque Viareggio, divenne nel dopoguerra un quartiere povero, malfamato e densamente popolato, fatto di baraccopoli (le cosiddette “case minime”), alloggi popolari e comunità immigrate, per poi iniziare il lento percorso -ancora in atto- di lenta trasformazione in area residenziale per la classe media.
Nel 1975 fu istituita la nuova parrocchia cattolica, separandola da quella di Sant’Antonio, e venne costruita la nuova chiesa, essenziale ma con elementi rivoluzionari per l’epoca. L’edificio sacro, di dimensioni modeste, servì la comunità per 40 anni durante i quali il quartiere visse una vera e propria esplosione demografica. Essendo difficile sia per motivi burocratici che ingegneristici procedere alla ristrutturazione e ingrandimento che si erano rese necessarie fin dal 1985, l’Arcidiocesi di Lucca giunse finalmente nel 2014 alla decisione di abbattere e ricostruire completamente l’edificio.
Avrebbe potuto essere l’ennesima chiesa-scatolone, come tante altre migliaia sparse nelle periferie d’Italia e invece, per fortuna, fu stata scelta per il progetto CEI “Percorsi Diocesani“, che prevedeva un bando architettonico nazionale. Il progetto dello studio TAMassociati di Venezia uscì vincente dalla competizione. L’8 giugno 2019 il nuovo edificio di culto fu consacrato.
Dall’esterno la chiesa si presenta come un volume bianco minimalista e senza fronzoli, quasi brutalista/industriale, con un ampio piazzale e una slanciata torre campanaria dotata di un carillon di otto piccole campane, realizzate da Emanuele Allanconi di Bolzone di Ripalta Cremasca. L’edificio è circondato da un giardino ricco di richiami al vecchio edificio, come ad esempio l’iconica scritta “Resurrezione” in bronzo dorato e il grande portale con decorazione a spirale, oggi tramutato in monumento, che sfuma verso gli antichi Varignanetti sul Canale Burlamacca e il Parco della Vetraia, che dovrebbero essere finalmente recuperati con fondi europei nei prossimi anni. Le linee della chiesa e degli adiacenti locali parrocchiali e canonica sono pensate per aprirsi e integrarsi nell’ambiente urbano circostante, di cui costituiscono il cuore pulsante.
Ma è l’interno che regala forti emozioni, a cominciare dall’immensa vetrata – fondale del presbiterio – la cui grafica azzurra richiama il cielo, l’ampio utilizzo del legno, che rende la grande e luminosa aula sacra molto calda e accogliente e che dà un senso di natura, il grande fonte battesimale, l’unico della diocesi dove poter compiere il rito per immersione, e la struggente simbologia delle opere d’arte presenti.
La pianta è rettangolare, come nel precedente edificio, il volume è a diverse altezze e l’illuminazione è ottimizzata per valorizzare le linee architettoniche e realizzare un ambiente confortevole. Una parte degli arredi interni, come ad esempio le panche, provengono dalla vecchia chiesa, come il pavimento in marmo, qui posato a spacco, il vecchio fonte battesimale diventato acquasantiera e alcune opere d’arte, come il crocifisso e il murale del compianto maestro Massimo Micheli, sono state recuperate su esplicita richiesta della comunità, per le quali costituiscono un’importante stratificazione storica-emotiva.
Tra le opere nuove, quelle dell’artista veneto-siciliano Marcello Chiarenza, come le drammatiche ed essenziali croci realizzate con grandi chiodi.
Quando si entra in questa nuova chiesa, si viene improvvisamente abbracciati da un senso di pace e di contemplazione. La bellezza della sua semplice architettura rinfranca l’anima come una fresca oasi in un soffocante deserto urbano, spingendo il visitatore ad ascendere verso Colui a cui questo edificio è dedicato.
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