Siamo in cocci… Sognando i ciottorini a Viareggio

In questo tempo di pandemia, chiuso in casa come tutti, sistemavo vecchie foto, quando ne spuntò una di un anno fa. Era un mio selfie alla Fiera dei Ciottorini di Viareggio. Fu come un tuffo da una scogliera in un mare fresco e azzurrissimo di ricordi.

Era una giornata calda e io ero a casa dei miei genitori a Viareggio, presi la moto per un bel giro sul Lungomare, poi feci rotta verso la Darsena.

Parcheggiai e mi tolsi il casco. Respirai a fondo il profumo dei pini, che si mescolava a quello dello zucchero filato. Ogni volta le sensazioni che questa fiera mi trasmette sono le stesse di quando ero piccolo. Per questo, anche se si tratta di un evento minore, conserva per me un fascino tutto particolare.

Il fatto che questo evento, istituito il 25 marzo 1755, sopravviva da secoli in una città da sempre brava a perdere le proprie tradizioni è quasi un miracolo, e un buon indicatore di quanto sia radicato nella coscienza collettiva e nella memoria storica dei viareggini.

Per prima cosa mi diressi verso la piccola chiesa, dove tutto cominciò. Correva l’anno 1559 quando il commissario Girolamo Busdraghi realizzò una piccola cappella intitolata a San Pietro, a servizio delle 250 anime di pescatori che all’epoca costituivano Viareggio. Fu la prima del villaggio, costruita con grande volontà e sacrificio della popolazione. «Un pesce per la cena e uno per un mattone per la chiesa», racconta Mario Tobino.

Nel 1667 fu affidata alla Confraternita della Nunziata e questo nome sostituì voce populi il precedente.

Bisogna sottolineare che i marinai viareggini erano fortemente devoti alla Madonna, e ancora oggi la statua di “Maria Santissima Stella del Mare e Guida dei Naviganti” domina il porto cittadino. Le tracce di questa religiosità popolare sono i numerosi ex voto raffiguranti naufragi miracolosamente evitati che si possono ammirare nella chiesa di Sant’Andrea, poco distante.

Interno della Torre Matilde
Interno della Torre Matilde

Due eventi storici ci danno il segno delle tradizioni mariane a Viareggio. Il primo è la terribile tempesta del 15 aprile 1780, talmente potente e duratura da far credere che avrebbe distrutto il villaggio. La violenza degli elementi fu tale da scaraventare via uno dei cannonieri della Torre Matilde, che morì sul colpo. La popolazione si radunò nella chiesa della Santissima Annunziata pregando perché i venti si calmassero e fu accontentata. Venne quindi istituito un “voto di comune” e da allora ogni anno vengono celebrate delle Messe in ricordo dell’evento.

Chiesa della Santissima Annunziata
Chiesa della Santissima Annunziata

Il secondo episodio è la petizione che i viareggini inviarono a papa Pio XII, nel giorno di Ferragosto del 1943, in piena guerra mondiale, chiedendo che la Santissima Annunziata fosse proclamata patrona cittadina. Naturalmente la loro richiesta fu esaudita.

Pensando a tutte queste cose entrai nell’antica chiesetta, dove il tempo pareva essersi fermato. L’odore dell’incenso bruciato, dei fiori e del legno antico delle panche avevano qualcosa di poetico, che mi risveglia ricordi d’infanzia. Quella sera, come ogni anno da secoli, la solenne processione dell’Annunziata avrebbe sfilato per le strade del centro storico. Ricordo bene quelle serate al tempo stesso noiose ma affascinanti, da piccolo. Ricordo la statua portata a spalla e la voce profonda dei confratelli incappucciati «O Stella del Mare / Del Cielo Regina / Viareggio s’inchina / Prostrata ai tuoi pie’».

Uscii dal fresco ombroso della chiesa e mi diressi verso piazza Santa Maria, dove si svolgeva anticamente il mercato cittadino. Passai a fianco dell’antico Palazzo Belluomini e superai la piccola piazza Ragghianti, dove si trovano le rovine dell’antica cisterna del ‘500. Qui una volta c’era la parte della fiera che più mi piaceva, con un banchetto di animaletti, uno di giocattoli e uno di dolciumi.

Oltrepassai infine il grande obelisco dal quale una statua di Maria veglia sulla città e arrivai finalmente alla piazza, e che oggi è una piccola pineta ingiustamente intrappolata nel traffico. Questi luoghi, sebbene feriti dalla guerra prima e dall’incuria dell’uomo e dalla crescita disordinata della città successivamanete, rappresentano la parte più antica di Viareggio, e sarebbe bello riuscire a liberarli una volta per tutte dal traffico.  Opportunamente pedonalizzate, queste strade e piazzette sarebbero un buon palcoscenico per rievocazioni storiche, come ha dimostrato l’evento -riuscitissimo- del 2009, per il 450° anniversario della fondazione della chiesa della Santissima Annunziata.

Targa della fondazione della chiesa della SS. Annunziata, dià di S. Pietro
Targa della fondazione della chiesa della SS. Annunziata, già di S. Pietro

A piazza Santa Maria si svolgeva, come da tradizione, la vendita dei “ciottorini”: terrecotte che riproducono piccole stoviglie da cucina, fischietti, campanelle, statuette, formelle ed oggetti artistici vari. Sono loro a dare il nome alla fiera e, sebbene oggi siano una curiosità più che oggetti d’uso comune, è pur sempre bello continuare a vederli qui. Sotto un tendone i bambini delle scuole dipingevano ognuno il proprio ciottorino, sperando di vincere il concorso indetto dal Rione Vecchia Viareggio, che dal 1974 ha preso l’onere e l’onore di organizzare la fiera.

C’era poi il chiosco dei libri locali e dei memorabilia storici, dove si potevano trovare autentiche perle, la pesca di beneficenza e infine il mio banchetto preferito: quello delle specialità gastronomiche pasquali.

Forse questi ricordi della Viareggio che fu non saranno creazioni da masterchef, ma per chi come me è cresciuto vedendole preparare dai nonni e dai genitori, hanno i gusti più buoni del mondo. Immancabili sono le frittelle di riso -quelle della festa di San Giovanni- e i bomboloni, come a Viareggio si chiamano i frati (ciambelle). Poi prodotti antichi come il pane di granturco e il pan di ramerino (rosmarino), i tipici dolci pasquali: la torta di riso e cioccolata alla viareggina, la torta di semolino e infine la mitica pasimata. Questo era un semplice pane con anice e zafferano che si mangiava durante la Quaresima al posto dei dolci, che erano proibiti.

Prima di rientrare a casa, visitai per l’ennesima la Torre Matilde. Anche se la conoscevo a memoria, ne approfittavo ogni volta perché questo è l’unico giorno di apertura nel corso dell’anno. Mi stupisco ogni volta della sua struttura possente e mi domando quando finalmente si decideranno a restaurarla e valorizzarla come meriterebbe.

Risalii in sella e tornai a casa, felice d’aver partecipato ancora una volta a questa antica tradizione, che ha unito generazioni di miei concittadini e che ancora oggi, contro ogni pronostico, continua a farlo.

Una grande nostalgia mi assale; chiudo la foto e spengo il computer. Quest’anno siamo in cocci, come un ciottorino caduto a terra. La fiera, così come molte altre cose, non c’è stata, ma è stato bello ripensare alle sensazioni provate l’anno scorso, in attesa di poterle rivivere ancora. Il prossimo anno – ne sono sicuro – grazie a questa esperienza riusciremo a gustare con maggior pienezza le tante piccole gioie che avevamo e alle quali non davamo la giusta importanza. Siano esse una cena tra amici, un viaggio lontano o solamente una fiera paesana che sopravvive da secoli. Nonostante tutto.

The following two tabs change content below.
Gabriele Levantini nasce a Viareggio il 10 aprile 1985. Chimico per lavoro e scrittore per passione, dal 2017 gestisce il sito Il Giardino Sulla Spiaggia. Seguimi sul mio blog: https://ilgiardinosullaspiaggia.wordpress.com