Il sole filtra attraverso il lucernario e le veneziane della finestra. Apro gli occhi e casa mia prende piano piano forma intorno a me: amo svegliarmi in questo modo.
Sulla parete, la luce che rimbalza sul fiume tremolante sta disegnando lievi figure geometriche, che ondeggiano lentamente.
Riflessione e rifrazione, ma per un viareggino come me quest’illusione di mare è un regalo graditissimo. Così come addormentarmi in estate con le finestre socchiuse e il canto dell’acqua che scorre, lambendo le case del paese che pare dormirgli abbracciato. Alla fine Ponte a Moriano è un borgo marinaro, solo che al posto del mare ha il Serchio.
Mentre aspetto il caffè apro la finestra in attesa che il profumo della moca si unisca al vento fresco della campagna.
Dopo colazione, prendo la mia fedele bicicletta e mi tuffo nel sole primaverile di questo sabato mattina. Il villaggio è più vivo del solito e nell’aria c’è profumo di pane. Attraversando il grande ponte che da il nome al paese guardo giù verso il fiume: mi piace vedere l’effetto dell’acqua azzurra che accarezza le antiche rovine che sembrano riposare quiete. Dall’altra parte una lapide in parte nascosta dalla siepe di un giardino segna il punto in cui arrivò la piena in un giorno tremendo del 1836. Anche nei matrimoni più felici a volte capita di litigare, si sa.
Prendo la stradina che porta sull’argine sinistro del fiume, indicata da un cartello non molto visibile: Parco Fluviale del Serchio.

Pur essendo nato e cresciuto a mezz’ora di macchina da Lucca, prima di venire ad abitare qua non sapevo niente di quello che dal 1999 è uno dei più grandi e bei parchi urbani d’Italia. Ciò fa drammaticamente capire come questo magnifico polmone verde, che si estende per quindici chilometri a pochissima distanza dal celebre centro storico, sia sottovalutato dai lucchesi e del tutto ignoto alle masse di turisti che arrivano in città da ogni parte del mondo.
Il Serchio è il terzo fiume toscano per lunghezza e il secondo per portata. Il suo carattere è focoso come quello del popolo della Garfagnana, tra le cui montagne nasce, e d’inverno s’abbandona spesso a piene imponenti che attraversano la piana come una mandria di bufali.
D’estate invece, pur mantenendo un notevole livello, si riduce e scorre rilassato, pacifico, quasi sonnolento scoprendo ampie distese di sabbia -la stessa delle spiagge versiliesi- e di ciottoli, che presto saranno colonizzate dalla vegetazione.
La natura esplode: pioppi, sambuchi e ontani si riempiono di foglie verdi e sembrano stiracchiarsi al sole dopo un lungo sonno. Mentre la tifa, il giaggiolo, la salterella e la cannuccia conquistano il vecchio letto del fiume centimetro dopo centimetro.
La sua golena ospita piccoli abitati, coltivazioni e qualche attività produttiva, che sarebbe urgente delocalizzare per completare finalmente la riconversione dell’intera area in zona verde e d’interesse turistico. Nella mia piccola gita guardo i dettagli del paesaggio: antiche case rurali, campi abbandonati dove i fiori selvatici sembrano gareggiare in bellezza, alberi da frutto. Difficile credere che la città sia così vicina. Quanti capoluoghi vorrebbero avere un simile tesoro! Le Cascine a Firenze, il Valentino a Torino e forse persino lo splendido Jardí del Túria di Valencia, pur offrendo prospettive architettonicamente più solenni, non reggono il confronto col Parco Fluviale di Lucca in fatto di estensione e qualità del verde. Le sponde del Serchio sono infatti un ottimo esempio di integrazione tra città, campagna e natura.
E in questo luogo mi sento in armonia anche io. Mi sembra che i miei pensieri scorrano come il fiume, chiari come l’acqua delle piccole spiaggette che si incontrano lungo suo percorso. O che ondeggino in aria, leggeri come il polline dei pioppi.
Mano a mano che mi avvicino a Ponte San Quirico l’urbanizzazione si fa più evidente, con impianti sportivi e qualche abitazione, e infine con la trafficata via per Camaiore, dove si affaccia il Foro Boario, antico mercato alle porte della città. Attraverso la strada e mi trovo in un ambiente totalmente diverso: una passeggiata urbana piastrellata, con panchine, chioschi e posti auto che confina con un fresco bosco urbano. Sono alle spalle dell’area delle Tagliate, le antiche mura sono a pochissime centinaia di metri, eppure sembra di essere in aperta campagna. Proseguendo mi trovo rapidamente su una stretta strada asfaltata, percorsa purtroppo anche da auto. È intitolata a Petroni, scrittore lucchese che dedicò al fiume un suo libro.
Nonostante tutto, il paesaggio si mantiene ancora abbastanza selvatico, alternando zone alberate ben conservate ed aree dove l’intervento dell’uomo è stato invece più invasivo. Passo davanti a un maneggio e poi allo storico campo nomadi dove generazioni di gitani si sono susseguite negli anni e nei decenni, non sempre ben viste dalla città.
Il vento fresco della mattina mi accarezza mentre pedalo, rinfrescandomi dal sole che ormai comincia a battere con forza. Ecco spuntare davanti a me la nuova, spettacolare passerella pedonale le cui bianche e ipermoderne forme si incontrano e si scontrano con il contesto rurale, creando una strana armonia. Passo sotto la sua alta struttura, ammirando la spiaggetta di pietre al mio fianco. Al mio passaggio, un gruppetto di oche spaventate si getta buffamente in acqua, facendo un gran rumore.
Da qui la strada torna sterrata e prosegue fino a Ponte San Pietro, continuando la sua corsa come il tempo che passa. Supero l’antica Corte Palazzaccio e a Piana delle Barche, dove un tempo i lucchesi andavano a rinfrescarsi in acque calme e profonde, la fattoria urbana degli Albogatti e vasti e ombrosi pioppeti e boschi che nascondono alla vista il campanile antico della chiesa di San Matteo Apostolo. Paesaggi d’altri tempi, che regalano sempre emozioni indimenticabili.
Arrivo a Ponte San Pietro, metà mattinata è ormai trascorsa e decido di tornare indietro: è ora di rientrare. Niente male come giretto, per oggi!
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