E Viareggio gridò Viva Maria

Credo che la nostra Piazza Ragghianti, così come tutta la Vecchia Viareggio, non sia tenuta in giusta considerazione dai miei concittadini, e men che mai dall’amministrazione, vista l’importanza storica che ha rivestito per la comunità.

Una delle innumerevoli vicende che qui si sono svolte, è l’ingresso trionfale dei francesi a Viareggio, e la successiva insurrezione popolare contro di loro. Un fatto ben noto agli storici, e del quale anche l’Istituto Storico Lucchese si è occupato, ma che in città -incomprensibilmente- non è ricordato neanche da una targa.

Dopo mesi di provocazioni e tentativi, l’esercito napoleonico ebbe finalmente ragione della Repubblica di Lucca all’inizio del 1799 e in data 6 gennaio occuparono Viareggio.

Va notato che anche alcuni viareggini entrarono a far parte del governo provvisorio lucchese, tra i quali il più in vista era senz’altro Francesco Belluomini.

La popolazione accolse tiepidamente i nuovi padroni, ma mentre nella classe dirigente era forte la componente filogiacobina, le classi popolari guardavano con sospetto a quell’ideologia straniera.

I francesi imposero il loro sistema cercando tuttavia di ottenere il supporto popolare, anche tramite distribuzione di vino e organizzazione di momenti di festa e sembrarono riuscire nel loro intento quando, il 2 aprile fu issato in Piazza delle Erbe (oggi Piazza Ragghianti) l’Albero della Libertà, simbolo potente ed evocativo del nuovo corso.

Tuttavia, il malcontento continuò silenziosamente a serpeggiare e a crescere, specialmente nelle campagne, spinto dalle parti più conservatrici del clero e della nobiltà e, ad un certo punto, esplose.

Rincuorati dalle prime sconfitte subite sul terreno dalle truppe napoleoniche, nelle notti tra il 2 e il 3 maggio gli insorti del movimento Viva Maria si scambiarono il segnale convenuto: grandi fuochi furono accesi fuochi nei villaggi sparsi sulle colline e le montagne lungo la Toscana settentrionale e la Liguria. Prontamente, arrivò la risposta e altrettanti fuochi illuminarono le notti nella Piana di Lucca, in Versilia e in Lunigiana.

L’alba del 4 maggio fu salutata dalla campana della Torre Matilde, che chiamò alla rivolta il popolo viareggino alla rivolta.

Sotto la guida dell’ex nobile lucchese Sebastiano Motroni, si radunò una grande folla armata che abbatté l’Albero della Libertà, issando al suo posto una croce di legno.

Mentre le bandiere francesi venivano date alle fiamme, la piccola guarnigione cittadina fu disarmata e, sulla cima della Torre venne nuovamente issata la vecchia bandiera della Repubblica di Lucca.

Alcuni soldati fuggirono e si asserragliarono nel Fortino di Levante, di cui oggi -purtroppo- non rimangono che poche rovine nascoste dalla vegetazione in Pineta.

Cominciò una spietata caccia contro i filogiacobini, con saccheggi, violenze e tentativi di linciaggio. Molti fuggirono verso Pietrasanta, ancora in mano ai francesi, lasciando le loro case e le loro botteghe alla mercè dei rivoltosi.

Il 5 maggio, anche il Fortino sulla Foce venne assediato, costringendo alla fuga i soldati che l’occupavano.

I saccheggi proseguirono tutta la notte e si alternarono a festeggiamenti. Gli incendi si confondevano con le baldorie accese per il successo dell’iniziativa.

Il giorno successivo giunsero a Viareggio insorti provenienti dalle campagne circostanti, principalmente da Camaiore e da altri paesi limitrofi. Venne dato l’assalto ai magazzini della Dogana, che furono saccheggiati, e fu organizzata una spedizione per fomentare la sollevazione a Pietrasanta e proseguire la caccia ai rifugiati giacobini, che dovettero fuggire nuovamente, questa volta fino a Massa.

Fu arrestato il Commissario Ottavio Boccella e gli insorti cominciarono a strutturarsi militarmente, nominando Comandante Generale Sebastiano Belli detto “Il Morino” e Tenente Generale un certo “Sagrone”.

I cannoni catturati furono posizionati sulle principali strade di accesso in città e una ronda armata venne inviata presidiare la via Montramito. Belli attaccò Palazzo Belluomini, che venne dato alle fiamme.

Le manovre riuscirono tanto che riuscirono a respingere le prime truppe inviate da Lucca. Il direttorio inviò quindi l’arcivescovo Filippo Sardi a trattare con gli insorti, ma neanche lui riuscì a convincerli.

Il prelato tornò a Lucca con la risposta che il popolo desiderava «libera la patria dagli stranieri e dai tiranni». Raccomandò comunque di concedere il perdono generale.

Nel frattempo, davanti alle coste viareggine erano comparse alcune navi inglesi e, i segnali di rivolta si moltiplicavano altrove, arrivando a toccare la stessa città delle mura.

Così i francesi, sebbene il governo avesse raccomandato di usare moderazione e di risparmiare Viareggio dalla devastazione, decisero di agire con forza.

L’8 maggio, per ordine del generale Sextius Alexandre François de Miollis, la città venne stretta a morsa da una colonna di ben 600 fanti e 50 dragoni a cavallo agli ordini del comandante Nadal, inviati da Pisa, mentre ulteriori rinforzi partirono anche da Lucca e da Massa. Anche la vicina Camaiore fu assediata.

Gli ordini erano quelli di riprendere le posizioni, in qualunque modo. I rivoltosi si resero conto di non avere alcuna possibilità di vittoria e trattarono la resa senza spargimento di sangue, in cambio dell’amnistia.

L’accordo fu raggiunto ma, una volta occupata la città, la parola non venne mantenuta e i capi della rivolta furono arrestati. Incarcerati a Livorno, alcuni di loro vennero fucilati.

Secondo lo Zibaldone di Jacopo Chelini, secondo atre fonti, solo due; Luigi Sodini e Nello Loveri di Stiava. Sebastiano Belli fu invece graziato.

La mattina del 9 maggio la città si svegliò sotto il ricostituito il governo giacobino che, come primo atto, fece rimuovere la campana che aveva chiamato alla rivolta dalla sommità della Torre Matilde.

I francesi, con alterne vicende, resteranno per un po’ in città lasciando testimonianze del loro passaggio nell’organizzazione così come nell’architettura cittadina, tra le quali spicca la splendida Villa Paolina, costruita nel 1822 per Paolina, sorella di Napoleone.

Ma la storia avrà di nuovo prova dell’istinto libero dei viareggini, nel secolo successivo, quando la rabbia popolare verso l’autorità scoppierà sotto una diversa ideologia ma con uguale forza.

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Gabriele Levantini nasce a Viareggio il 10 aprile 1985. Chimico per lavoro e scrittore per passione, dal 2017 gestisce il sito Il Giardino Sulla Spiaggia. Seguimi sul mio blog: https://ilgiardinosullaspiaggia.wordpress.com

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